Il contratto con Sifa per il trattamento di fanghi industriali di Porto Marghera è un caso esemplare dei tanti accordi della cosiddetta “finanza di progetto”. Cosiddetta poiché, nonostante la terminologia faccia intendere diversamente, in questi accordi, il rischio d’impresa rimane a totale carico del concessionario pubblico. In questo caso della Regione Veneto.
A puntare il dito contro la situazione di Sifa è la consigliera regionale M5S Erika Baldin: “Come è successo con Sifa, società al 47% di Mantovani, garantita da un contratto-capestro che prevedeva 25 anni di concessione dove gli oneri per volumi inferiori a quanto previsto dal piano economico sono per il 95% a carico del concessionario pubblico – accusa l’esponente del Movimento 5 Stelle – Ecco quindi la ricerca di un accordo, e la transazione di ben 56 milioni di euro di fondi pubblici, ricordiamo, a vantaggio di un’impresa privata”.
“Come mai i volumi di fanghi in ingresso sono inferiori alle aspettative? – chiede Baldin – In parte per il (prevedibile) calo dovuto alla progressiva riduzione delle attività industriali”.
Ma non è l’unica motivazione.
“È opportuno registrare il gravissimo ritardo nella messa in sicurezza delle aree inquinate di Porto Marghera, con relativo marginamento, che ricordiamo essere incompleto, soprattutto mancante nelle zone più “difficili”, dove sono presenti tubazioni o dove sono necessari interventi complessi – continua la consigliera – Con il risultato che, dopo aver speso quasi 800 milioni per un marginamento incompleto, con molti punti critici evidenziati nel Dossier Bonifiche Marghera pubblicato da Grillivenezia, ne sono necessari quasi altri 300 per il suo completamento, mentre nel frattempo l’area non conterminata scarica e dilava continuamente gli inquinanti in laguna”.
Non solo: Sarà solo con il successivo retromarginamento che il sistema sarà in grado di raccogliere gli scarichi ed indirizzarli al PIF (progetto integrato fusina) e quindi “nutrire” Sifa con i volumi programmati.
“E veniamo al PIF – prosegue Baldin – per il quale sono previsti nel Patto per Venezia 13 milioni di euro. Non vi sono però garanzie sufficienti (o perizie) per ritenere che tale importo sia sufficiente. In tal caso, sarà Sifa a dover trovare altre risorse. Che si aggiunge alla già difficile situazione finanziaria (debiti) e corrente (meno entrate del previsto). In questo caso il rischio è che Veritas, socia in Sifa, debba farsi carico di ulteriori costi per PIF e mancate entrate. Magari scaricando poi i costi in bolletta ai cittadini”.
Insomma, tra contratto capestro di Sifa, con potenziali esposizioni per oltre 300 milioni di euro e relativa sanatoria per oltre 50, PIF in chiaroscuro con potenziali ulteriori costi non indicati, messa in sicurezza inefficace costata finora quasi 800 milioni di euro, fondi da aggiungere per il completamento dichiarati ma non allocati nel Patto per Venezia per 250 milioni di euro, comunque in misura probabilmente insufficiente, dobbiamo registrare un bilancio fortemente negativo: “Problemi finanziari, trasferimenti di fondi pubblici a soggetti privati, progetti inattuati, importi enormi spesi per opere che in quanto incomplete non sono ancora funzionali – conclude la consigliera – Di chi è la responsabilità? Certo non solamente di Galan e di Chisso. Ma anche di chi condivideva le responsabilità politiche in quel periodo e di chi, dopo la loro rimozione, non ha saputo anticipare e prevenire i problemi. A partire dal Presidente Zaia (allora vicepresidente), e dagli assessori che hanno seguito. Qualche domanda ci sarebbe anche su chi ha avuto ed ha mantenuto le responsabilità tecniche di gestione di tali progettualità”.