di Erika Baldin (*)
Le proteste dei commercianti, che chiedono di riaprire le loro attività, non lasciano indifferenti. Ogni chiave, consegnata simbolicamente al proprio sindaco per protesta o timore, è un corollario negativo del contagio, da qualunque parte la si consideri. Perché rappresenta una tessera del nostro puzzle produttivo che rischia di venire smarrita per sempre, in questo tsunami che ci ha travolto.
Chi esprime il proprio disagio? Esercenti, loro dipendenti, artigiani. Che hanno bisogno di risposte, di fatti e interventi concreti. Non di veder alimentato tout court il malcontento, di sms speranzosi o, peggio, di venire usati come mezzo (espresso e a costo zero) per polemiche altrui o manovre di partito.
Penso ad amministratori e assessori, che avrebbero il preciso compito di governare il territorio, ma non rinunciano a soffiare sul fuoco della protesta parcellizzata. Avere la sfrontatezza di tingerla di un colore politico, in questi momenti di complicata gestione del contagio, è innanzitutto un atto irrispettoso di chi manifesta, nonché assolutamente inutile per la sua causa.
L’endorsement plateale, buono per l’istantanea sui social e nulla più, si rivela infatti strumentale soltanto ad aumentare il livello di scontro con il governo. Una mossa improvvida e miope, che non fa certamente il bene della popolazione, anzi, ma rende il quadro ancor più complicato di prima.
In questa partita – senza vincitori né ricette facili– chi ha i mezzi per intervenire lo faccia, altrimenti abbia il buon gusto di proseguire il proprio lockdown.
A meno che non voglia aiutare concretamente chi manifesta in piazza, devolvendo una parte dello stipendio alla causa comune dei cittadini che sono in difficoltà. Come facciamo noi del Movimento 5 Stelle. Non da oggi, e qualunque sia il colore del governo nazionale.
(*) consigliera regionale veneta, gruppo M5S.