Venezia, 18 novembre 2024 – L’annunciata chiusura del Fondaco dei Tedeschi a Venezia per il mese di settembre 2025 ha sùbito sollevato il problema occupazionale inerente. Saranno 226 le persone da ricollocare, oltre a quelle che si erano già preventivamente licenziate dalle attività commerciali contenute nello storico spazio di Rialto, non appena emersi i rumours relativi al disimpegno aziendale: «La priorità oggi spetta agli ammortizzatori sociali per queste maestranze -nota Erika Baldin, capogruppo del MoVimento 5 Stelle al Consiglio regionale- e perciò ho depositato un’interrogazione a risposta immediata, rivolta alla Giunta veneta, affinché (come per altre crisi d’impresa) metta in campo quanto di sua competenza attraverso un tavolo con le parti sociali interessate».
In queste ore si stanno succedendo gli incontri e i contatti a distanza tra il Comune di Venezia, la proprietà e le sigle sindacali: «Al pari del Parlamento, coinvolgere la Regione è necessario -prosegue la consigliera- dato il suo ruolo nelle politiche attive per il lavoro, che per esempio manca all’ente locale di prossimità. Anche se la situazione nel caso particolare è ulteriormente aggravata dal peso dell’investimento e dell’immagine che lascia lo sfregio nel cuore della città più amata del mondo».
Molte sono le accuse mosse da più parti al colosso DFS, con sede a Hong Kong, che ha rilevato i prestigiosi spazi dove erano ubicate le Poste: «Venezia gode di una specificità unica e non riproducibile -osserva Baldin- e pertanto è assurdo pensare che la monocultura turistica, in evidente eccesso, venga soddisfatta da offerte standard del tutto identiche a quelle delle altre grandi città globalizzate. È la conseguenza dei mancati investimenti nel prodotto tipico, nella vocazione locale all’eccellenza. E se anche il settore del lusso segna il passo, le conseguenze non devono essere pagate da chi sta più in basso nella scala della produzione e del retail».
Una volta garantita la continuità occupazionale delle maestranze, la città dovrà riflettere quanto alla destinazione d’uso del centralissimo stabile: «Solleva apprendere -commenta l’esponente del M5S- che non è alle viste l’ennesimo albergo, e che l’intenzione rimane quella presente, seppure con attori chiaramente differenti. L’importante è che il palazzo non faccia la fine di quello, assai vicino, in capo a Coin e che è rimasto desolatamente chiuso per molto tempo».
Appare tuttavia evidente come, per l’ennesima volta, il brand “Venezia” viene utilizzato da fondi e multinazionali per gettarlo come carta straccia quando non serve più: «Anche per questo -conclude Erika Baldin- vedrei bene un ripensamento della struttura, sia in chiave di contenitore culturale sia quale ipotetico mercato del cibo e delle materie prime, sul modello della Boqueria di Barcellona, della Ribera di Bilbao e del Markthalle Neun di Berlino».