Siamo arrivati a quota duemila. Superando la cifra insopportabile delle vittime del Vajont. Duemila morti per Coronavirus nel Veneto. Sono 40 Antonov caduti dopo il decollo da Verona Villafranca, uno dopo l’altro. Sono più di sei anni di vittime di incidenti stradali nella nostra regione, tutti assieme. Una cifra inimmaginabile a fine febbraio, cui ci siamo,giorno dopo giorno, purtroppo anestetizzati.
Il New York Times, il 24 maggio, ha riempito la sua prima pagina con un muro di nomi. Quelli delle (allora) quasi centomila vittime negli Usa. Un tributo da tempo di guerra, accompagnato da una motivazione breve e ammirevole: “Non erano semplici nomi su una lista. Loro erano noi”.
Probabilmente in Veneto non sarebbe possibile, per motivi di privacy o per ragioni organizzative, ma ci piacerebbe che giornali e televisioni della nostra regione facessero lo stesso.
Nome, cognome (o solo le iniziali), età, dove vivevano, quello che facevano nella vita. Niente foto. I visi ce li dobbiamo immaginare. Perché, anche se non abbiamo avuto nella nostra cerchia affettiva dei morti o degli ammalati di Covid, quelle vittime avrebbero potuto essere i nostri nonni, genitori, amici.
Ricordiamoci, almeno oggi, di quelli che sono morti al posto nostro. Un promemoria di duemila righe per chi esce senza mascherina, assolutamente conscio di farlo, oppure per chi ignora le distanze di sicurezza, anche quando non costa assolutamente nulla osservarle.
Le prossime sfide, nella possibile coabitazione autunnale con il Covid, si chiamano scuola, trasporti pubblici, case di riposo. Affrontiamole con spirito di collaborazione e non di rivalsa, se non altro per onorare degnamente i loro nomi.
Intervento di Erika Baldin, consigliera regionale veneta, senza casacca di partito. Perché oggi non conta la provenienza politica, ma il peso del ricordo.